Gli Avogadro

I nobili Avogadro sono considerati una delle casate più potenti fra tutti i feudatari del XII secolo. Alcuni storici attribuiscono loro un'origine bergamasca e li considerano dei patrizi originari ascritti al Consiglio del 1488  e discendenti dagli Avogrado del Giglio, il cui stemma è: troncato d'oro e d'argento al giglio di rosso sulla partitura. Altri invece, li definiscono antichissimi patrizi bresciani, i quali trassero il loro nome e la loro potenza dalla carica feudale ereditaria di "Advocati Ecclesiae Brixiensis" (avvocati della chiesa bresciana) che detenevano sin dal XII secolo.
Come avvocati, pretesero il diritto della chinea quali vassalli e scudieri del Vescovo di Brescia, privilegio conservato fino al 1466 quando Pier Francesco lo esercitò per il Vescovo Domenico de Dominicis. Anche il Vescovo Giovanni da Fiumicello, in cambio del servizio reso, cedette il suo cavallo al suo accompagnatore e scudiero, un Avogadro, che poi egli ricomprò pre quattro lire imperiali o milanesi. Oltre a questo privilegio gli Avogadro imposero la loro potenza signorile nell'ufficio di Gastaldi o Canevari delle principali corti vescovili fra cui quella di Bagnolo.
Gli Avogadro, essendo stati i primi Gastaldi, cioè ufficiali rappresentanti amministrativi ed economici dell'ufficio vescovile, retribuiti con assegnazione di fondi o di decime, oltre all'esercizio amministrativo, che implicava autorità giudiziaria e militare nel distretto assegnato, pretesero una percentuale fissa da tutti i Gastaldi che si susseguirono. Per riattestarsi e farsi riconoscere il diritto, intestarono persino un processo contro il Vescovo Giovanni da Palazzo nel marzo del 1206.
Ci soffermiamo a presentare Gian Battista Avogadro, noto personaggio presente nella vita sociale del nostro paese.
Maestro di agricoltura, arguto interlocutore e figura rappresentativa nei dialoghi delle "Vinti giornate della vera agricoltura e i piaceri della villa" di Agostino Gallo, invitato dal nobile Ludovico Moro con una lettera datata 23 novembre 1547, lasciò la citta, sua residenza, e si trasferì a Borgo nello stabile di S.Urbano, di sua proprietà. Ivi costruì la sua villa con giardini e pergolati ed una chiesetta in onore del Santo, convertita poi in casa colonica, di cui esiste ancora traccia nei pressi del ponte sul fiume Garza.
In questa dimora egli amava soggiornare e radunare amici e gentildonne. Ed agli amici che lo biasimarono per aver abbandonato la città per abitare in quella piccola villa, egli rispose che se avessero conosciuto anche loro le delizie ed i benefici della campagna, sicuramente non gli avrebbero mosso simili critiche ed anzi, gli avrebbero scritto  sulla porta di casa le stesse parole che Catone, lasciata la grandezza di Roma per ritirarsi nel suo piccolo podere, trovò sulla sua: " O ben fortunato Catone, poichè solo tu sai vivere al mondo".

 

 


Tratto da: "BORGO DI PONCARALE - Fogli di storia, cultura ed arte"
di Anna Artioli, Luciano Artioli
Parrocchia di Borgo Poncarale
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